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Réflexion

La mystique de l’art (J. Cottin). Recension italienne.

art et christianisme de 1900 à nous jours

Nous présentons quelques recensions parues sur l’ouvrage de J. Cottin

Recension allemande de Johannes Stückelberger, pour la Revue Kunst und Kirche

Recension italienne de Severino Dianich, pour la revue Vivens Homo, Florence, (à paraître fin 2011 ou début 2012) :

J.Cottin, La mystique de l’art. Art et christianisme de 1900 à nos jours, Cerf, Paris 2008, pp. 409, Euro 24.

Arte e cristianesimo nel Novecento : è il tema suggerito dal sottotitolo di questo volume, la cui riflessione però è ben più ampia, tesa nella ricerca di qualcosa di più esteso e più profondo : la dimensione mistica dell’artista e dell’opera nell’esperienza delle arti visive del secolo trascorso : “La mistica dell’arte”.

La prima parte del libro è dedicata alla scoperta di alcune linee che hanno caratterizzato la spiritualità degli artisti lungo il Novecento. E’ a tutti nota la cesura che dall’inizio del secolo si è operata nei confronti della grande tradizione figurativa cristiana. Ciò non ha significato, però, la sparizione del volto di Gesù dall’opera d’arte. Sono spesso immagini sfigurate o Cristi senza volto, contemplati al di dentro della soggettività dell’artista. Ciò che spesso lo muove è il senso di rivolta contro il male e l’ingiustizia, l’angoscia del non senso dell’esistenza, la ricerca dell’interiorità. L’autore non manca di mettere in luce, attraverso la memoria di alcuni episodi, come la vicenda del polittico di Emil Nolde sulla vita di Cristo o la rimozione del crocifisso di Germaine Richier dalla chiesa del Plateau d’Assy, come queste esperienze nuove e fuggenti per la tangente dall’iconografia tradizionale abbiano provocato molte ostilità nelle chiese.
Lo studio di Cottin giunge, quindi, ad affrontare la complessa problematica di un possibile incrocio nell’opera d’arte fra il messaggio estetico che essa veicola e quello teologico. Il suo discorso si sviluppa in una ripresa critica dei grandi temi dell’iconoclasmo, così come si è ripresentato nel protestantesimo, e soprattutto in Calvino, per distendersi poi in un’analisi del pensiero di Paul Tillich sull’espressionismo tedesco e in una impostazione del discusso rapporto fra operare artistico e militanza sociale e politica. Il pregio della riflessione del teologo riformato di Friburgo sta nel fatto che egli non conduce una riflessione puramente teoretica, sul filo di una concettualizzazione astratta, ma lo fa attraversando un gran numero di episodi, di vite di artisti, di opere determinate, da Rouault, Chagall, Bacon, Rainer a Jawlensky, da Manessier, Nolde, Barlach a Richier, da Magritte a Kandinsky, Malevic, Mondrian, da Worringer Manessicr, Rothko a Chillida, Hrdlicka, Cerezo, da Serrano ad Arnulf Rainer, per ricordare solo i riferimenti che personalmente più mi hanno sollecitato.

In questo vasto panorama, da cui l’autore ha cercato di far emergere i diversi filoni sotterranei di una complessa spiritualità, la seconda parte dello studio intende scoprire e mettere in luce le tracce persistenti della tradizione cristiana. Queste non mancano, neppure nello spazio pubblico, se pur totalmente secolarizzato, delle piazze, delle rotonde stradali, dei media, della pubblicità, del cinema. Vi ritroviamo la stessa figura di Cristo, l’immagine della croce, se pure a volte nelle forme paradossali della caricatura. Il riutilizzo di grandi opere della tradizione iconografica cristiana, come l’Ultima Cena di Leonardo, ripresa per esempio da Buñuel in Viridiana, da Renée Cox che la traduce al femminile in un polittico fotografico, o dalla pubblicità della Volkswagen e della casa di moda Girbaud. Sul variegato e sconcertante fenomeno Cottin cala il suo interrogativo : è ricerca di senso o nostalgia di cristianesimo ? L’alternativa denota lo spirito di simpatia con cui l’autore incontra queste esperienze, perché si potrebbe anche ipotizzare uno sfruttamento strumentale di elementi molto presenti nell’immaginario collettivo e, quindi, voluti solo perché capaci di attirare l’attenzione. E’ indubbia una frequente presenza delle figure bibliche, in una specie di andamento a rovescio, per cui se la Bibbia aveva assunto e utilizzato figure provenienti dalle diverse culture nelle quali si è formata, oggi sono le figure della Bibbia ad essere assunte e utilizzate in contesti culturali diversi. Al di là di questi scambi formali, però, Cottin pensa di trovare nelle esperienze degli artisti contemporanei quella implicazione della corporeità, quel radicalismo del messaggio, accompagnato da una volontà di rottura rispetto al mondo, e quell’ansia di verità che caratterizzano la fondamentale esperienza cristiana, quale appare già in San Paolo. Quello che in genere manca è il rapporto personale con Cristo e l’attingere da lui, oltre l’emozione estetica, il senso della salvezza. Al di là delle osservazioni generali, però, resta il fatto che ci sono anche artisti che esplicitamente si dichiarano cristianamente ispirati. Questo avviene indipendentemente da ciò che l’opera con il suo contenuto è in grado di dire all’osservatore, visto che in questi contesti essa gode sempre meno di una sua autonoma consistenza ed è creata con l’attesa che venga intesa soprattutto come parte viva dell’esperienza personale dell’artista.

La terza parte del volume, nella quale ci si accosta di più agli ambienti più vicini alla chiesa, inizia sorprendententemente con un’ampia disanima dell’opera di un autore fortemente provocatorio, il più celebre pittore austriaco del secolo, Arnulf Rainer, con le sue dissacratorie “ridipinture”. Artista dalla vita avventurosa e controcorrente, giunge ad un certo punto della sua parabola artistica a prendere tele già dipinte, o disegni o fotografie di opere d’arte, per graffiarle, scarabocchiarci sù, sovrapporvi di getto segni e colori diversi, quasi aggredendole ossessivamente . Ciò che impressiona Jérome Cottin - ed è perfettamente comprensibile - è che Rainer, per il quale “insoddisfazione e rivolta” sono il “vero motore della pittura”, ritorni spesso sulla figura della croce, ridipingendola all’infinito, e addirittura nella Fingermalerei-Kreuzűbermalung e nel Christus mit Dornenkrone, faccia emergere, schietta e chiara, dalla sua Űbermalung la figura di Cristo. Nel primo caso è il suggestivo schizzo di un bel volto dolente, che non mi sembra attribuibile ad alcun pittore noto, e nel secondo il volto del Cristo alla colonna del Louvre di Antonello da Messina (non “le visage d’un Christ saint-sulpicien”, come pensa l’autore). Cottin vi scorge l’opera di un’aggressiva distruzione, ma tesa a far emergere il nuovo, una trasgressione come negazione della negazione. E’ certamente espressione da parte dell’artista della sua personale disperazione, ma anche qualcosa di simile all’instancabile ripetere di un’invocazione da parte di chi è in pericolo. Sulla ridipintura delle croci Rainer stesso esternava la sua esperienza interiore : “Mi trovavo allora a causa di tante cose nell’incertezza, nelle tenebre, nella nebbia” e poi giungeva ad osservare che, se edonismo e spiritualità non si escludono, egli avrebbe desiderato sottoporre la sua opera a un’esegesi religiosa, perché “le teorie soggettive, psicologiche e analitiche sono ben poco appropriate al tema” (p. 289s).

Con una sequenza logica, a questo punto, l’autore dedica un intero capitolo ad alcuni pittori, tutt’altro che omogenei alla tradizione figurativa cristiana, i quali nonostante questo cristiani si professano esplicitamente e pubblicamente : si tratta di artisti coreani dell’ambiente parigino. Secondo le loro esternazioni le loro opere vivono in un diretto rapporto con la loro esperienza di fede. Nonostante che la loro formazione artistica non sia quella della loro cultura tradizionale, in questo il loro atteggiamento personale appare decisamente opposto a quello dominante negli ambienti degli artisti occidentali. Ciò non significa affatto un ripensamento, né alcun ritorno al figurativismo oggettivistico o a intenzioni didascaliche : l’opera è e resta esclusivamente una proiezione dell’esperienza interiore del suo autore.
L’ampia rassegna, con le sue dettagliate analisi, che solo un teologo poteva essere in grado di condurre, si conclude con alcune osservazioni sul rapporto fra musica e arti visive, attraverso la presentazione dell’opera di Johann P. Reuter, il quale in dialogo con Messiaen stende i suoi colori con un ritmo musicale a commento dei brani della Messa che la tradizione classica ha sempre musicato. Chiude il volume un’ampia bibliografia.

L’opera di Cottin merita la massima considerazione sia per l’ampiezza dei materiali studiati, sia per lo sforzo dell’interpretazione, condotto sul filo dell’intreccio fra l’opera stessa e la storia personale dell’artista. E’ questo, infatti, un fattore fondamentale nell’esperienza artistica del Novecento : non per nulla, nella creazione dell’opera, come accade nelle installazioni, l’artista giunge a mettere in mostra il suo stesso corpo e la sua azione, facendo quasi trapassare la pittura e la scultura in un’opera teatrale : “commedia dell’arte” naturalmente, non messa in scena di un testo già scritto ; anzi, neppure un canovaccio che non sia il semplice scorrere di un’emozione interiore dell’artista. La dimensione mistica che Cottin va scoprendo nelle opere che egli esamina appare quasi sempre con sufficiente evidenza. Molto più complessa e da sottoporre, in molti casi, a non pochi dubbi è la dimensione cristiana di tali esperienze artistiche. Quasi sempre infatti esse vivono in un’atmosfera più vicina a quella della gnosi che della testimonianza della fede. Questo, del resto, non meraviglia nessuno, vista la temperie della cultura del Novecento, che vede avanzare sempre di più sulla scena il soggetto, non già come testimone portatore di una fede, bensì esclusivamente come una persona bisognosa di esternare le sue sensazioni e le sue emozioni. Cottin è tutt’altro che inconsapevole di questo, ma il suo atteggiamento simpatetico nei confronti di persone ed eventi, che egli rammemora, lo porta, a mio parere, ad un eccessivo ottimismo. In realtà il divario che si è creato fra il mondo dell’esperienza artistica contemporanea e il mondo della “chiesa confessante”, per riprendere un’espressione cara a Barth e quindi - suppongo - anche a Jérome Cottin, resta ancora lontano dall’essere superato. Con ciò non voglio dire che non dobbiamo aprirci alla conoscenza e alla comprensione dell’opera d’arte contemporanea. Tutt’altro : se nella chiesa vogliamo riallacciare rapporti fecondi con questi spazi della cultura, nei quali si svelano le venature più profonde della spiritualità dell’uomo contemporaneo, abbiamo urgente bisogno, prima di tutto, di conoscere e poi di accostarci con atteggiamenti di simpatia, come fa il nostro autore, verso gli artisti di oggi, le loro sofferenze, le loro passioni e le loro gioie.

Infine, è quasi di rito nelle recensioni dire cosa non c’è nel libro che si è letto e che si desidererebbe non vi mancasse, anche se si è ben consapevoli che nessuno può fare tutto e, alla fine, ciascuno sceglie ciò che gli sembra più interessante. Riconosco che le innumerevoli manifestazioni di un’arte astratta, informale, fino alla creazione dell’effimero nelle installazioni, costituiscono la caratteristica dominante del Novecento. Se in ogni modo in questo ambiente è rinvenibile una “mistica dell’arte”, non lo è di meno nei crocifissi sospesi sul mondo di Salvador Dalì o in quelle strisciate di luce che sono i Cristi di Congdom, come nel Crocifisso operaio del nostro Giorgio Morandi o come ancora nell’opera scultorea di un Giacomo Manzù, un Francesco Messina o di un Emilio Greco. L’opera di Cottin potrebbe quindi essere benissimo continuata esplorando altri ambienti, in altre nazioni e con altri modi di porsi nell’esperienza artistica.

Severino Dianich